Giugno 2018 – Funeral Mist

 

Rieccoci con il consueto aggiornamento mensile su ciò che di meglio ci è stato offerto dal panorama che quotidianamente scandagliamo. Poteva giugno fare eccezione? La risposta è ovviamente negativa, quindi il secondo quesito della giornata è semplice e rimane come sempre lo stesso: com’è stato l’ultimo mese? Risposta in questo caso altrettanto facile: ottimo. Cos’abbiamo preferito? Qui il responso è stato ben più arduo: dopo esserci riuniti ci siamo ritrovati a fare i conti in particolare con un testa a testa serrato che ha visto Funeral Mist e Marduk scontrarsi letteralmente ad armi pari. La comunanza geografica non è l’unica tra i due progetti, che condividono anche membri – come già sapranno i più tra chi ci legge puntualmente. Fortunatamente non c’è motivo di scegliere ad esclusione, pertanto  l’ex aequo totale è stato risolto premiando “Hekatomb” dei Funeral Mist (fuori dal 15 del mese per Norma Evangelium Diaboli) per via dell’effetto a sorpresa che ha regalato, a piccolo ma di certo non nocivo discapito dell’incredibile qualità e costanza produttiva della più nota band di Mortuus e soci. Proseguendo nella lettura troverete ovviamente anche i soliti pareri su altri due dischi particolarmente apprezzati, il primo dei quali consegna il terzo tassello di una tripletta mensile tutta all’insegna del giallo-blù nemmeno fossero i mondiali di calcio (completata da una pubblicazione Season Of Mist) e qualcosa da coordinate geografiche ben diverse. Quebec è il nome del luogo, Sepulchral Productions poco sorprendentemente quello della label partner in crime. Ma iniziamo con lo scoprire di più sul premiato e vittorioso “Hekatomb”.

 

 

“Un fulmine a ciel sereno è quel che si può definire “Hekatomb”. L’ormai quasi quindicennale militanza di Mortuus nei Marduk si fa immancabilmente sentire nel suo progetto solitario, Funeral Mist, dove a nome Arioch confeziona un disco di esperienza sensazionale in fatto di scrittura, arrangiamenti e accorgimenti. L’atmosfera tipica del Black Metal occulto della band è inalterata, ritroviamo senza difficoltà tutto il carico di deviata religiosità e spiritualismo dai tratti medievali che avevano fatto la fortuna delle originali intuizioni della coppia “Salvation” e “Maranatha”, ma sono proprio gli espedienti tipici nella scrittura del suo altro gruppo a permettere all’affinato compositore di compiere una sintesi senza precedenti tra le due anime. Fuoriclasse confermato per via delle sue corde vocali, e specialmente per interpretazione senza pari, qui accompagnato da un ben noto Lars Broddesson (batterista dei Marduk non così casualmente nel periodo “Wormwood”“Serpent Sermon”) che sciorina una prestazione totalmente senza falle soprattutto in fatto di gusto melodico, Daniel Rostén sigilla a mani basse il più grande disco rilasciato a nome Funeral Mist.”

(Ascolta “Cockatrice” nella colonna ad essa dedicata, leggendo di più al riguardo, qui.)

Inaspettato ma inesorabile, Arioch fa il suo apocalittico ritorno spezzando il settimo sigillo e donandoci una delle release più ispirate e annichilenti di questo 2018. Il flavour liturgico, sacrale ed estremamente evocativo emerge solo dopo qualche attento ascolto, stagliandosi dal riffing sferzante, possente e innegabilmente influenzato dalla decennale militanza del Nostro nei Marduk, grazie all’inserimento dei cori e delle pregiate e caotiche rifiniture di lead guitars. Ma la personalità prorompente dell’artista si rivela in tutto il suo maligno splendore soprattutto dietro al microfono, sciorinando metriche incalzanti e variazioni vocali da brividi.”

Il ritorno della one-man band di Mortuus si rivela essere una piacevolissima sorpresa. “Hekatomb” è infatti un prodotto estremamente ispirato dal punto di vista musicale: alle classiche cavalcate Black Metal si susseguono momenti carichi di groove, oppure altri più epici, lenti o addirittura onirici. Le parti vocali spiccano su tutto il resto e trasportano l’intera opera verso un risultato decisamente positivo, senza dubbio il migliore dell’intero repertorio targato Funeral Mist.”

Un ritorno inaspettato, tanto inaspettato quanto stupendo. “Hekatomb”, terzo e nuovo album dei Funeral Mist, giunge infatti a sorpresa come ormai da tradizione Norma Evangelium Diaboli. Il musicista svedese si destreggia tra un ferale Black Metal e soluzioni un po’ atipiche nel suo genere (per amanti della sperimentazione), dove troviamo impalpabile una sorta di spettro sonoro dei Marduk a consolidare il legame con l’altra band che dura ormai da quattordici anni. Ma non c’è solo questo, troviamo anche qualcosa come un fantastico intermezzo Ambient alla Burzum nella quarta traccia “Cockatrice”, ad esempio, il miglior brano del disco a parere di chi scrive; per non parlare dei vari inserti  dal gusto sacro all’interno delle tracce, che rendono il tutto ancor più blasfemo. Piccola menzione anche per una vecchia conoscenza di casa Marduk: le parti di batteria sono state registrate da Lars Broddesson, ex-batterista del gruppo dal 2009 al 2013.”

“Non contento di dichiarare guerra all’universo ad ogni nuova release dei Marduk, Arioch (aka Mortuus) sorprende tutti estraendo dal cilindro un album cattivissimo e privo di momenti di stanca. Il clima di costante oppressione che la musica crea non viene mai meno, anche grazie ai malsani campionamenti con cui il nostro ravviva dei brani già di per sé caratterizzati da un’ottima scrittura. Dai tocchi di synth ai cori gregoriani, senza dimenticare delle vocals sempre piacevolmente deliranti, “Hekatomb” è infatti un lavoro che cresce con gli ascolti senza mai annoiare.”

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Come anticipato: “Viktoria” dei Marduk, che con invero pochissime sorprese o perplessità in fatto di qualità si candida ad essere l’ennesimo colpo centrato della band svedese in una carriera -di fatto- ormai quasi trentennale. Giunti al traguardo del terzo disco uscito per il colosso tedesco Century Media Records, quello di cui si parla è guerra – rendendolo il continuo concettuale (ma come vedremo non musicale) di “Frontschwein” del 2015.

“Album numero quattordici di Håkansson e soci, e per l’occasione si torna al fronte: i Marduk, come nessun altro nel loro genere, incarnano la colonna sonora della persistenza e dell’inossidabilità più strenua. “Viktoria” ci regala mezz’ora di dinamismo tipico della band, non senza novità e calibrate sorprese (tra cui produzione audace e dal carattere invidiabile per la proposta), questa volta di nuovo concentrata sui temi WWII con l’usuale -rara- intelligenza lirica per l’argomento. In sole nove e preferibilmente molto brevi tracce, il vangelo secondo Marduk al capitolo quattordici concede un passo stilistico indietro per trovare grande varietà nelle sue trame, non assomigliando come di consueto a nessun altro disco della produzione del combo, ma senza rinunciare ad un trademark che fa dell’inconfondibilità ormai un tratto pressoché leggendario. Tra storia, trincea e narrazione di vocals fuori dal comune, “Viktoria” è l’ennesima conquista di una band che, con estrema solidità e forza, non deluderà chi l’ha sempre apprezzata dal vitale ingresso di Mortuus.”

(Ascolta tre brani dal disco, leggendo di più nelle colonne ad essi dedicate, qui.)

Se “Frontschwein” volle scaraventarci tra il fango e il sangue della trincea, i Marduk del 2018 ci offrono invece uno spaccato di guerra a più ampio spettro, amministrando e organizzando le 9 tracce del platter con l’abile ingegno di un esperto stratega militare che dispiega le proprie truppe: nonostante il timing di circa mezz’ora, “Viktoria” si rivela più che mai vario, equilibrato e tagliente, edificato sul trademark inconfondibile degli svedesi e ben delineato nel loro processo evolutivo, ma al contempo unicum caratterizzato da una produzione analogica meno irruenta e più lucida, che sottolinea ed esalta l’ormai indiscusso e storico talento compositivo.”

Basta poco più di mezz’ora ai Marduk per riconfermare la propria supremazia nel panorama musicale estremo.
“Viktoria”, nonostante la sua breve durata, porta svariate novità nella discografia svedese e un invidiabile dinamismo tra momenti rapidi e forsennati con altri più lenti e riflessivi, il tutto arricchito da un eccellente comparto lirico che immerge appieno l’ascoltatore nella palpabile trincea mardukiana.”

Ritorna la macchina da guerra svedese Marduk con un nuovo assalto sonoro: “Viktoria”, ennesimo e magnifico inno guerrafondaio in cui la conquista appartiene ad una sola figura: la Morte. Rispetto al suo predecessore il nuovo album si presenta più aggressivo, non si lascia respiro all’ascoltatore e i mid-tempo sono davvero risicati, ad eccezione della conclusiva “Silent Night”; perfetta traccia per abbassare il sipario sulla guerra appena conclusasi. Tuttavia, quei pochi rallentamenti presenti servono per preparare l’ascoltatore all’imminente nuovo assalto sonoro. Tutto viene confermato dall’aspetto concettuale-visivo, per cui l’album si presenta in maniera molto più sobria ed essenziale: niente carri armati, niente granate. Solo la scarna sagoma del viso di un soldato su sfondo nero, nel più classico stile Black Metal di vecchia scuola. “Viktoria” si potrebbe considerare come il perfetto successore del classico “Panzer Division Marduk” (1999), ma sotto una prospettiva completamente diversa: furia cieca anche, ma con un decisivo tocco di esperienza in più ed un cantante molto più versatile.”

“La corazzata più temuta di Svezia torna alla carica con un’altra prova di forza vinta senza alcuna difficoltà, in cui i trademarks della musica del gruppo vengono ulteriormente ribaditi. Ecco dunque i brani più cadenzati e doomish su cui l’ispiratissimo Mortuus può sfoderare il suo folle tono declamatorio, mentre il buon Morgan arricchisce alcuni pezzi più veloci con fraseggi melodici atti a dare un tono quasi epico alle composizioni. “Viktoria” è, in sostanza, un disco imperdibile per chiunque ami i Marduk e la belligerante esaltazione che solo loro sanno comunicare.”

 

L’ultimo tassello di questo mese praticamente all’insegna della Svezia più nera: i Craft con il loro nuovo album “White Noise And Black Metal”, uscito il 22 giugno per la ribattezzata Season Of Piss Records. Un paio di nomine sono fioccate anche per il ritorno della formazione che si rialza agguerrita dopo ben sette anni di silenzio dal non così convincente “Void” (Carnal Records). A detta di un paio di noi, la band ormai veterana sembra aver ritrovato lo smalto nelle otto nuove tracce che compongono il loro quinto full-length.

“Chi scrive non era mai riuscito a trovare nulla di particolarmente interessante nelle precedenti opere dei Craft, e si è dunque approcciato a questa nuova fatica senza aspettarsi granché, venendone tuttavia sorpreso. Il disco è infatti un’eccellente summa di tutto cioè che è oggi il Black Metal, con alcuni accenni al discusso Black & Roll e persino all’Industrial. La velocità viene infatti parzialmente accantonata, mentre i riff più pachidermici e dissonanti puzzano di zolfo infernale lontano un miglio, anche grazie ad una produzione capace di creare scenari da incubo su cui si stagliano le grida luciferine del malefico Nox.”

Imperterriti come solo loro sanno essere, i Craft ritornano con quello che possiamo considerare come un album in cui sono raggruppate tutte le loro peculiarità sonore: “White Noise And Black Metal” mescola alla perfezione la loro essenza atmosferica, maligna e misantropica con la loro parte più aggressiva e grezza, dove i riff di chitarra disegnano lande desolate e putride sormontate dallo screaming assolutamente grim di Nox, un perfetto cantore di morte. Dopo quel mezzo passo falso di “Void”, la band non poteva che risalire la china. Obbiettivo raggiunto.”

(Ascolta “The Cosmic Sphere Falls” ed “Again” nelle colonne ad esse dedicate, leggendo di più al riguardo, qui e qui.)

 

Parimenti, un paio di nomination sembra essersele meritate anche il nuovo parto dei Délètère, “De Horae Leprae”, uscito il 15 del mese per Sepulchral Productions. Il secondo full-length del gruppo, grazie allo stile personale creato sulla formula ipermelodica ascritta alla variazione Black Metal tipicamente regionale dei Nostri, in altri casi fin troppo prevedibile, ha convinto in particolare due di noi che hanno voluto parlarcene così:

L’atmosfera sinistra e malsana che emerge dalla complicità di tastiere melodrammatiche e chitarre frenetiche dall’intrigante taglio melodico dona freschezza al sound dei Délétère; i canadesi dimostrano quindi una certa dose di personalità in ambito Métal Noir Québécois, che tuttavia in “De Horae Leprae” risultano sfruttare solo in parte e imbrigliate un po’ ingenuamente ad una struttura delle tracce ristagnante e nella quale alcune formule, anche complice la durata eccessiva del full-length, tendono purtroppo a ripetersi.”

Il secondo lavoro dei Délètère presenta senza dubbio alcune caratteristiche di Black canonico, come staticità e durezza, è però reso interessante in grossa parte da stacchi energici, sia dal punto di vista melodico che ritmico. “De Horae Leprae” è un disco consigliato soprattutto a coloro che si annoiano di fronte alle proposte più pure e crude.”

(Ascolta “Cantus I: Teredinis Lepra”, leggendo di più nella colonna ad essa dedicata, qui.)

 

Qualche altra buona uscita potrebbe sicuramente aver convinto qualcuno tra chi legge (ipotizziamo: Spectral Wound? Ne avevamo parlato qui. Cor Scorpii come al nostro Feanor? O magari Slidhr?). Pensate che possiamo esserci persi qualcosa che non trovate listato tra i full-length dell’ultimo mese nel calendario di uscite? Non fatevi problemi e ditecelo in un commento sui nostri canali social, o se preferite una chiacchierata scrivendoci direttamente.
In caso contrario, gustatevi questi (magari fatelo ugualmente). Chiudendo la rassegna, come al solito, non possiamo non ricordare che il prossimo appuntamento con il recap mensile di luglio è fissato ai primi di agosto, ma con le uscite di un mese come giugno non dovreste nemmeno temere più di tanto il caldo.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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